Una polizza unica per proteggere tutto ciò che conta

È questo il futuro che si delinea per milioni di lavoratori italiani, secondo le proiezioni degli esperti e confermate dalle prime indicazioni contenute nella manovra di bilancio recentemente approvata dal Consiglio dei Ministri.

Un segnale chiaro: il sistema pensionistico pubblico dovrà fare i conti con l’aumento dell’età pensionabile e con assegni sempre più leggeri.Nel testo della bozza di legge si prevede che, dal 2027, l’età pensionabile salga di un mese, e dal 2028 si aggiungano altri due mesi. Un incremento complessivo di tre mesi rispetto ai requisiti attuali, ma distribuito su due anni.

Una misura di compromesso, che consentirebbe di contenere i costi (stimati in circa 3 miliardi di euro in caso di stop totale) e al tempo stesso di rispondere alle richieste di gradualità avanzate da sindacati e forze politiche. Restano tutelate le categorie più fragili, impiegate in attività usuranti o ad alto rischio, ma scompaiono, almeno per ora, Opzione donna e Quota 103.

Ma è guardando al futuro che lo scenario non lascia spazio a molte illusioni. Secondo Istat, nel 2050 (sì, se sei nato a cavallo tra anni ‘70 e ‘80, stiamo parlando in particolare di te) si andrà in pensione a 68 anni e 11 mesi, e nel 2067 si supererà la soglia dei 70 anni. Una dinamica inevitabile basata sui trend delle aspettative di vita e al progressivo invecchiamento della popolazione.

E se qualcuno pensa di salvarsi con la pensione anticipata sappia che diventa sempre più difficile da ottenere (salvo sfruttare i benefici di una pensione complementare come spieghiamo qui). Nel primo semestre del 2025, secondo il Monitoraggio Inps, ne sono state liquidate 98.356, il 17,3% in meno rispetto allo stesso periodo del 2024.

Un futuro con meno certezze… e meno reddito

L’allungamento dell’età pensionabile non è l’unico problema. Il vero nodo è l’insufficienza della pensione pubblica nel garantire uno stile di vita adeguato.

Già nel 2030, la previdenza obbligatoria potrebbe non coprire nemmeno il 50% dell’ultimo stipendio. I più penalizzati sarebbero i lavoratori autonomi, che scenderebbero dal 64% di oggi fino al 30% del reddito, mentre per i dipendenti pubblici e privati il tasso di sostituzione passerebbe rispettivamente da 68,6% e 67,3% a 49,6%.

Un quadro che rischia di lasciare molte persone con poche risorse in tasca e un futuro economico fragile proprio nel momento in cui servirebbero più certezze.

Gli italiani sono consapevoli ma passivi

Un recente report elaborato da Nomisma racconta un paradosso tutto italiano: il 62% dei cittadini sa che la pensione pubblica non basterà, ma solo il 38% ha valutato o intende attivare una pensione complementare.

Tra le cause, la scarsa capacità di risparmio (dichiarata dal 43%) e la crescente insicurezza economica. Quasi un italiano su due (49%) teme di non poter affrontare spese impreviste, e il 39% teme di non riuscire a mantenere il proprio tenore di vita. Eppure, oltre la metà (55%) si affida già a un consulente o esperto finanziario, riconoscendone il valore in termini di trasparenza, competenza tecnica e capacità di ascolto.

Riconoscere il problema, scegliere la soluzione

I dati sono chiari: la sola pensione pubblica non basterà. Una consapevolezza che non deve tradursi in rassegnazione.

Strumenti come i piani individuali pensionistici (PIP) o le polizze vita a componente finanziaria rappresentano un modo concreto per costruire oggi un futuro più stabile e protetto.

Affrontare il tema con responsabilità significa non subire il cambiamento, ma scegliere come governarlo, trasformando l’incertezza in pianificazione.

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